Death Pedals – Death Pedals [Hominid Sounds, 2018]

Death Pedals_Death Pedals_coverSono bastati appena otto anni, ai Death Pedals, per far la loro comparsa bruciante nella florida scena noise rock inglese, infiammarla a dovere con tre dischi lunghi, una manciata di cose più piccole e centinaia di bellicose apparizioni live, e decidere di sparire. L’omonimo di cui sto scrivendo, infatti, è l’annunciato ultimo album della band di Hackney (Londra). Che per l’occasione ha deciso di fare le cose in grande, allestendo l’uscita di scena con la migliore collezione di pezzi che il nostro laido palato abbia avuto il piacere di assaggiare. A rendere onore al gruppo, come già aveva fatto per l’album precedente (“Meat House”, del 2016), la Hominid Sounds, piccola etichetta underground generatrice di noise malsano e spacca timpani.

Registrato live in appena quattro giorni di ritiro ai Giant Wafer Studios, in Galles, “Death Pedals” contiene sudicie escrezioni di noise punk(hardcore) ruvido come la tanto celebrata carta vetrata e affilato come il coltello del prosciutto. È musica urgente, scostante e poco disposta a concedere spazi alla meditazione. Ma non è tutto e solo assalti all’arma bianca, deviato costume di gente come Blacklisters o Metz, per restare a tempi a noi vicini, o di altra gentaglia venuta un sacco prima come quei pazzi irredimibili dei Jesus Lizard. No. I Death Pedals, già prodi allievi dei Santi Shellac, lasciano questo mondo infame incamerando influenze psichedeliche e post-rock (Slint in primis) e rimodellando, in siffatto modo biascicato, i contorni di una materia che conoscono bene e che possono ben permettersi di violentare. Una provocazione bella e buona, ecco cos’è ‘sto disco – «questo possiamo fare, pubblico di merda, prendi e zitto!».

È questa la sensazione che colpisce a bastonate ascoltando, ad esempio, l’ultima traccia del disco, You’re A Fake, sette bei minuti di randellate sui denti e diluvi di chitarre arrotolate e oscenità di feedback (se c’è qualcosa che merita l’appellativo di “sludge” è questa roba qui). O la salmodiante e rabbiosa Lower, messa d’uopo giusto in mezzo al disco. Il resto sono pedate hardcore con la scimmia del rumore (I Am A Loser, o Vacant TV), fantasmi di interstizi dati a fuoco (Shower of Shit – notare il titolo) e sudate, ansiose, acide elegie chiassose (USD).

L’ultima zampata dei Death Pedals è lo schiaffo orgoglioso di chi sa che sta cadendo ma vuole comunque mandarti affanculo, con indocile classe iconoclasta. E trovatemelo un altro disco così, quest’anno e pure gli altri venuti prima, che sappia metterti addosso così tanto fuoco e voglia di sfasciare tutto.

 

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